mercoledì 13 novembre 2013

Voglio dirlo bene e concisamente, affinchè tutti voi capiate: io amo i turisti. Li adoro quando arrivano in albergo, sorridono, dicono “buongiorno” (perchè l'educazione è sempre e comunque il punto fondamentale del rapporto tra esseri umani) e pendono, letteralmente, dalle mie labbra: sono in attesa di sapere cosa visitare. E' questo che mi rende orgoglioso della mia città, felice di essere fiorentino: vengono a vedere i monumenti che i miei avi hanno creato. Ed io gli devo dire dove stanno e come fare per arrivarci. E' la cosa stupenda di questo lavoro; certo, ripetitivo (diciamo le stesse cose a tutti i clienti) ma è e rimane un privilegio assoluto.
Ok, d'accordo: noi loro pronipoti non siamo all'altezza. Lo ammetto. Loro hanno impiegato meno anni a tirare su monumenti o creare opere artistiche che noi a fare un paio di linee di tram. E poi a dirla tutta io non sarei neanche fiorentino al 100%: i miei avi vengono tutti dal Pratomagno, e lassù, più che creare monumenti, si creavano carbonaie. Ma vabbene, un po' di storia è passata anche da lì quando, nel 1289, l'esercito fiorentino si fece il passo della Consuma per andare a suonarle agli aretini a Campaldino. Qualche stupro ci sarà stato sicuramente. Dopo 8 secoli, eccomi qua, a decantare l'arte di queste merd... ehm... di questi Grandi Fiorentini.
Ma purtroppo ci sono anche i turisti che tali non vogliono essere, e pare che arrivino qui solo per un motivo: rompere il ca**o al portiere.
L'Incubo (con la i maiuscola) si è materializzato poco fa: americano 60enne. Esce dall'ascensore a mezzanotte. Alto, grosso, baffoni biondi, vestito elegante ed occhiali da sole. Non se li leva mai. Trascina i piedi ed ondeggia da un lato all'altro. Mi si avvicina e comincia a parlare.
Ora, io mi ritengo uno che parla abbastanza bene l'inglese, ma questo qui comunica in cardassiano.
Non capisco mezza parola.
Mi guarda (almeno penso, dato che porta gli occhiali da sole). Ricomincia a parlare.
Niente, non capisco cosa vuole dirmi. Biascica le parole come solo i texani sanno fare, quindi presumo venga dalle parti di Houston. Forse dovrei chiamarli: "Houston, abbiamo un problema. Venite a riprendervelo". Continuo a non capire che voglia dire. Ma lui insiste.
“I need booze”
Vuole bere. Ok, fin qui ci siamo. Ma non mi sembra ridotto tanto bene, barcolla che sembra stia per cadere da un momento all'altro. E' già mezzo sbronzo, puzza di alcool e tabacco, ha la bavetta agli angoli della bocca. Mi guardo bene dal dirgli che potrei servirgli il booze, non mi pare il caso che ne ingurgiti dell'altro. Lui insiste, ma non ho punta voglia di interagire; mi chiede un bar, così gli do una piantina e gli indico dove sta l'hotel e dove può trovare un pub. Lui prende la mappa e la rigira di 360°. No, non ci siamo ciccio, l'albergo è qui. Lui riprende la piantina: nuova rotazione, poi punta il dito su Santa Croce. Per 3 volte gli indico dove stiamo con l'evidenziatore, e lui continua a puntare il dito in posti diversi. Alla fine ci rinuncio: si, siamo dove più ti piace (wherever you wish). Esce. Secondo me non torna.
Invece rientra dopo mezz'ora. E si mette a chiacchierare al banco.
Ecco, l'Incubo. Il cliente mezzo matto che parla ed io non lo comprendo, e c'ho anche da lavorare. Allargo le braccia. Ma lui insiste, non demorde. Mi racconta ¾ della sua vita, ed io niente, capisco solo la parola “wife”, e quando la pronuncia indica in alto. La moglie l'ha portato in vacanza e lui non ci voleva venire, così ora lei è in camera che dorme mentre lui si annoia a morte, ma ha trovato lo sfogo: il sottoscritto.
Riesce, fuma un'altra sigaretta, rientra e biascica ancora in qualche lingua sconosciuta, mi sembra di essere in un film slovacco con sottotitoli in cirillico. Forse capirei di più.
Ad un certo punto decido di ignorarlo. Mi rimetto a lavorare. Lui resta lì e parla, parla, capisco solo “you know...”. No, ciccio, non nouo un bel niente! Ma te ne vai a dormire????
Si sposta vero la hall. Ondeggia a destra e sinistra, sembra che stia per perdere l'equilibrio da un momento all'altro, sembra una nave con Schettino al timone. Raggiunge un divano e si siede. Poi si rialza e torna a parlarmi. Poi riesce a fumare, e mi tocca tornare ad aprirgli la porta. E poi rientra. Così via una dozzina di volte, costringendomi a continue interruzioni sul lavoro. Giuro, se non fosse per il mutuo, mi licenzierei all'istante.
Cercate di capirmi: io gli americani (sopra i 20 anni) li adoro. Sono curiosi, aperti, grandi viaggiatori, le hanno suonate ai nazi. L'unica vera amicizia che ho fatto tra i miei clienti è Regina, una simpaticissima ed adorabile signora americana che viene da noi tutti gli anni (vuole sempre la stessa camera) e porta i mitici jelly belly per le mie bambine. Ma questo chi l'ha sciolto? E' lo zio scemo della Palin?
Purtroppo non è la prima volta che mi capita una cosa del genere. Un anno fa ci fu una russa, che se ne stette tutta la notte a parlarmi nell'idioma di Stalin senza che io capissi che voleva. Probabilmente voleva solo sfogarsi dei suoi problemi familiari, o forse mi diceva quel che mi avrebbe fatto sessualmente se non avessi dovuto stare alla reception, o forse sputava (sorridendo) tutto il disprezzo che provava verso noi italiani. Non lo so e non mi interessa, mi bastava che se ne andasse, ma lo fece solo quando arrivò la ragazza delle colazioni: le 6 del mattino. Io lavoravo, testa bassa sul computer, lei blablabla. Un incubo, appunto. Più carino certo, ma sempre incubo.
Un'altra occasione fu nel 2006, con un ragazzo giapponese, ma in quel caso ci potevo parlare, oltre al fatto che voleva discutere solo di calcio, e dopo un paio d'ore non ne potevo più, così lo piazzai al computer dove scoprì, su wikipedia giapponese, che la sua squadra del cuore, la juventusse, era in serie B per il calcio scommesse. Ma come: tifi per la juve e 'un tu sai neanche che venne retrocessa d'ufficio? Io lì per lì non glielo volevo dire, mi spiaceva, ma poi dopo due ore di discussione volevo levarmelo di torno. Ci rimase piuttosto male, ma ci restai peggio io s'alzo dal computer e venne a chiedermi la distanza da Firenze di tutte (tutte, proprio tutte!) le città delle squadre di B di quella stagione, perchè voleva andare a vedere i bianconeri. Raga, posso assicurarvi che quando un giapponese fanatico di calcio non capisce che da qui a Crotone sono parecchi chilometri, e non li si può fare andata-partita e ritorno in un giorno, non importa quanto uno studi il giapponese e glielo spieghi: non lo capirà. Ma per fortuna dopo quel turno ero di riposo, e non lo rividi mai più. Ma stracciò i maroni anche ai miei colleghi.
I migliori di tutti, come sempre, sono gli spagnoli. Una mezza dozzina di coppie bercianti che mi coinvolsero a mangiare queso e jamon tra risate sguaiate e “¡joder!” o “¡coňo!”, ed ovviamente vino rosso a fiumi. Alla fine del turno avevo la testa che pregava per provare la ghigliottina, ma almeno mi divertii.
Ne ho avuti altri di casi di persone che sono state ore a parlare con me, molto spesso americani soggetti al jet-leg, il cambio di fuso orario, ma persone simpatiche con inglese comprensibile, e comunque non tutta la notte. Ma questo...
Portatemelo via, vi prego!

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