sabato 7 dicembre 2013

Capolavori del cinema: Ghandi, 1982. Ben Kinglsey ottiene l'oscar ed il titolo di Sir per la sua interpretazione del Mahatma.
Un indiano piccolino, smunto e magro, con un faccino sorridente. Ispirava tanta simpatia, comprensione per la loro condizione di colonizzati e biasimo verso gli inglesi.

Bene, scordatevelo.

Gli indiani sono fisicamente prestanti e/o grassi il triplo delle vacche che allevano nelle loro strade, ed infondono la stessa simpatia di Jack lo squartatore appena incontrato in una buia strada londinese, e siete vestiti in minigonna.
Hanno con sé una perenne faccia incazzata tipo “mi ha appena mollato il/la ragazzo/a con un tweet” oppure “silvio ha rivinto le elezioni” od anche “abbiamo beccato 5 gol dai gobbi in casa”. O tutte e 3 le cose assieme.
Voglio dire: sei in vacanza, in un altro continente. Rilassati, goditi il soggiorno, tantopiù che ti sorrido pure io.
Macchè, niente. Neanche avessero ancora gli inglesi in casa. O magari è perchè non ce li hanno più e quei pochi che arrivano sono ex cantanti/musicisti in cerca di spiritualità.

Comunque.

Famiglia indiana, 4 persone, alti, carnagione scura, fisicamente prestanti e completamente l'opposto del Mahatma. La moglie è veramente una bella donna, non fosse per lo sguardo perennemente imbronciato. Il marito sfoggia i baffoni neri tipo anni '70 (gli anni '70 in India durano da sempre, li hanno inventati loro 5000 anni fa) e faccia da celerino in attesa di scattare in cieca violenza contro studentelli delle superiori. Hanno due figlie, 14 e 12 anni e già più alte di me, che mi ispirerebbero simpatia solo per il fatto che tra loro c'è la stessa differenza di età che hanno le mie figlie, ma con l'espressione facciale da “tra un paio d'anni saremo al concorso di miss mondo ed entreremo nel dorato mondo di Bollywood, chi cazzo sei tu?”
La signora si piazza con i gomiti appoggiati al banco senza un buongiorno, condizione che già di per sé mi spinge pericolosamente verso la tentazione di riprodurre la scena finale di “Once were warriors”. Ai lati le due figlie, come due leoni ai lati della scalinata, o due fregate di scorta all'ammiraglia, mentre il marito se ne sta in disparte, attendendo che le femmine della famiglia decidano cosa fare nei prossimi secoli a venire, condizione in cui effettivamente mi ritrovo spesso anche a casa mia.
“I want to go to the Magnolia mall”.
Magnolia mall. Ci metto qualche nanosecondo a rendermi conto che non l'ho mai sentito nominare. Ripasso mentalmente tutti gli outlet ed i centri commerciali vicino Firenze: i Gigli, che ha almeno il richiamo floreale nel nome; il Barberino Outlet; The Mall, pieno zeppo di borse in pelle cinese da 10 euri con attaccato marchio italiano da 500. Un'altra mezza dozzina nei dintorni. Ma 'sto Magnolia non l'ho mai sentito.
Provo a dire alla signora questi altri nomi.
“I want to go to the Magnolia mall, it's here in Florence. I found it on internet, give me the indication to go there. Please check”. E comincia a picchiettare sullo schermo del pc con le lunghe unghie laccate di rosso, mentre le figlie mi guardano con un'espressione che dice “vediamo quanto ci mette questo occidentale a soddisfare le nostre aspettative da economia emergente”.
Sopprimo mentalmente la mia rabbia, anche perchè comincio a sospettare qualcosa, ed apro google. Ovviamente trovo subito il centro commerciale Magnolia, ne apro la pagina e la signora giù a picchiettare sullo schermo “You see? I want to go there”.
Allora capisco tutto. Il mio sospetto era giusto, e posso rendere giustizia a secoli di dominazione inglese, a corti di giustizia lente come vecchi centrocampisti bolliti dall'età e da troppe partite, ad enormi grattacieli accanto ai quali sorgono squallide baraccopoli.
“Yes madame, you are right: the Magnolia mall is in Florence. But Florence in South Carolina, Usa”

Ora, io non ho mai visto l'espressione di un condannato alla sedia elettrica nel momento in cui si becca il 50mila volts, ma doveva essere proprio come quella della signora quando le riferii la notizia. In quell'istante lungo un'eternità si rese conto che, come diceva Nanni, le parole sono importanti. E pure la loro traduzione. E che Firenze non è Florence, specialmente quando sul pianeta esistono gli Stati Uniti, dove è di moda dare i nomi di città europee a piccoli paeselli o giovani baldracche nel caso della Ville Lumiere.
La signora, senza dire una parola, esce dall'hotel con le cucciole al seguito. E lì arriva la scena più bella.
Il marito apre i baffoni e mi sfoggia un sorriso a 32 denti.
Al che comprendo anni di sopportazione paziente da parte delle 3 tiranne di casa, che ho bellamente vendicato, e mi sento finalmente in pace con quest'omone indiano.
Per il resto del soggiorno la signora e le figlie non mi degneranno di uno sguardo (per loro sventura in quei giorni sono in turno di giorno, e quindi mi troveranno sempre al bancone), lasciando il marito il compito di prendere la chiave della camera e chiedere informazioni. Cosa che farà sempre sorridendo amabilmente.
Sorriso pienamente contraccambiato.

ps. www.shopmagnoliamall.com Si trova in McLeod Boulevard: cioè, a Florence c'è una via che si chiama McLeod, come l'Highlander dell'omonimo film. Non è fantastico? E dopo un paio d'anni da questa piccola vicenda, ho scoperto che hanno pure una newsletter, a cui sono seriamente tentato di iscrivermi. Giuro, se mai andrò negli States, sarà l'unico centro commerciale in cui andrò. Vorrei dirvi "Vi adoro, yankees", ma non posso perchè sono del South Carolina, perciò intonerò Dixieland.

ps 2. una vicenda simile capitò anche a mia moglie (che come sapete - e se non lo sapete lo saprete ora - fa il mio stesso lavoro), stavolta con due clienti americane. Le quali, quando la Sara gli riferì l'esatta ubicazione del Magnolia mall, scoppiarono in un "Oh my gooood!" e poi in fragorosa risata. Reazione ironica e divertita, ben diversa da quella della signora indiana che toccò al sottoscritto.

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