lunedì 30 dicembre 2013

Russi.
Strafatti.
Porta chiusa.
Anche invertendo i fattori il risultato non cambia: tentativo di aprire la porta con la forza.
Campanello? In russia i campanelli non esistono. Sparano una raffica di ak-47 in aria e chi è all'interno va ad aprire. Ivan, tovarich, tu puortato vuodka, da?
Lui: classico russo biondiccio slavo, manca solo il l'elmetto ssh40 con stella rossa e simbolo divisionale del 4° corpo meccanizzato della guardia. La vodka è già al sicuro: nello stomaco. Spero ci rimanga. Almeno finchè non raggiunge il bagno della camera.
Lei: incredibilmente, una russa che fa apparire femminile un transessuale argentino. Forse è quello il motivo per cui beve: ha una delle poche russe per niente belle del pianeta. 
O forse no, berrebbe uguale. L'attrazione dei russi per l'alcool pesante è direttamente proporzionale a quella di un buco nero quando si passa l'orizzonte degli eventi: fatale ed ineluttabile.
Entrano. Lui si stravacca sulla poltrona dell'albergo, biascicando qualcosa. Non capisco neanche se è russo, da quanto parla male.
Lei, incredibilmente, appare lucida. Tracce d'inglese. Vuole un caffè. Facciamo 'sto caffè.
Bar.
Caffè pronto.
Si, potete portarvelo in camera.
Lei si avvia all'ascensore.
Lui si appoggia con le terga con bancone del bar, ma non si smuove.
Ti levi dai 3 passi?
Fermo lì, piantato come la Concordia sullo scoglio.
Mi guarda.
Biascica. La traduttrice è all'ascensore. 
Poi mi prende a braccetto.
Mi tocca fare da cane guida.
Lo porto al'ascensore, dove lei nel frattempo ha versato mezzo caffè. Allora anche tu ci hai dato dentro di vodka.
Salgono in camera, io vado a prendere lo straccio.
E meno male che è solo caffè.

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