lunedì 20 gennaio 2014

Nei 3 stelle dove io e mia moglie lavoriamo prodotti come pancetta o uova, per la colazione, non ci sono. Ora, ammetto di essere un profondo ignorantone e di non conoscere la normativa in ogni suo singolo articolo e comma (la burocrazia italiana è a livelli di Brazil; anzi, rispetto a noi italiani Gilliam è un ottimista), ma di norma in una caffetteria, tipica dei 3 stelle, non si possono avere fiamme libere o riscaldatori elettrici all'infuori delle macchine del caffè, quindi oltre al buffet freddo, non si va.

Ovviamente ci sono clienti che si lamentano: hanno pagato e si aspettano il servizio super-lusso, con i lacchè che alle 7 del mattino gli servono umilmente una fiorentina, gliela tagliano e li imboccano, mentre all'esterno dell'albergo piccoli fanciulli scalzi mendicano per un penny e Dickens osserva e prende appunti.

La lamentela è inversamente proporzionale al costo della camera: meno pagano più pretendono. E' un mistero che non riesco a spiegarmi, dopo il 3° di fatima e l'area 51. Dico bene Elvis?

Comunque: turno di mattina di mia moglie.

Arriva al banco una ragazza cinese.

Ha in mano un kiwi.

Per fortuna solo un kiwi.

Lo mostra.

Like”.

La Sara la guarda. Anche a me succede: ci dicono “I like bistecca fiorentina” o “I love Uffizi”, e noi siamo contenti. Siamo fiorentini. Spudoratamente fieri di esserlo. Ma, sinceramente, un kiwi non è che sia proprio un prodotto fiorentino rinomato da secoli. Quindi, se ti piace il kiwi, ok, ci fa piacere e ti fa anche bene alla salute ma, detto papale papale, importaunariccasega.

Però 'un gli si po' dì.

La cinese insiste. Mostra il kiwi, che tiene con due dita alle estremità. “Another. Like”.

La Sara è perplessa: non ci sono più kiwi nel buffet? Chiama il ragazzo delle colazioni, egiziano: ma sono finiti i kiwi? E lui “Ci sono kiwi, noi tanti kiwi, pieno kiwi. Tutti kiwi su buffet, io messo tanti kiwi, affoghiamo dentro kiwi”.

Ma la cinese insiste: “No this. Another. Like”

Ragazzi, io mi spavento all'idea che si dovrebbe studiare quella lingua per parlare con i clienti cinesi perchè l'inglese a loro non gli riesce. Viva il mondo anglosassone, viva il british english, i beatles, il Liverpool, ma viva anche the Usa, Stars & Stripes, i New England Patriots ed i Lakers, il bloody australian slang e l'australian design group, l'Irlanda e Guinness is good for you... ma il cinese no, mai.

La tipa non demorde, cambia tattica: due parole nuove. Quasi sicuramente ha esaurito tutti i termini inglesi, perchè ne usa uno italiano:

Pepe chicken”

Che roba è, pollo al pepe? Una ricetta di Gordon Ramsey? La tipa insiste: “Pepe chiken” e mostra il kiwi. Pausa, poi, agli occhi sgranati della Sara, riparte al ritmo di una MG42 ad Omaha Beach: “pepe chicken, pepe chiken, pepe chiken!” E giù a puntare il dito sul kiwi.

Beh, alla fine la Sara & colleghi ci arrivano (ma ce n'è voluto): pepe stava per “baby”. Baby chiken, piccolo pollo.

Voleva un uovo.

Aiutateci anche voi: posate gli occhiali sul tavolo (chi li ha) e mettete la mano sulla faccia: tutti voi dovete contribuire con un gigantesco facepalm.

Grazie.


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