Portiere d'albergo. Vorace lettore. Scrittore a tempo perso. Giocatore da tavolo. Nemico di un gatto. Depresso cronico. Attendo l'arrivo dei Vogon o, in subordine, il ritorno di Vladimir Ilic Ulianov.
mercoledì 23 dicembre 2015
venerdì 18 dicembre 2015
A'
Lazio
Voi
direte: come può, un portiere d'albergo di Firenze, avere a che fare
con la squadra di calcio di Roma?
In
ordine cronologico inverso, dal più lontano al più recente:
1.Coppia
50enne romana. Lui è decisamente sul pittoresco andante con brio:
giaccone pieno di tasche che sembra preso direttamente dalla 82esima
divisione aviotrasportata, baffo modello senatore abruzzese di centro
destra e coppola fantozziana.
Un
collage che fa rimpiangere le americane di un quintale in
pantaloncini ed infradito.
Escono
dalla sala colazioni.
-Senti,
annamo a pagà, ce tocca pure questa-
Poi
si volta verso di me.
-Aò,
coso. Quanto te devo?-
E
dà pure l'impressione di volermi mettere un braccio sulla spalla. Ma
sono un lavoratore bancone-munito. La distanza aiuta ad evitare
eccessivi scambi intimi non graditi.
-Buongiorno
a lei-
-Ah,
si vabbè, stai ancora ar bongiorno, a' formalità. Comunque
bongiorno-
-La
camera l'avete già pagata, manca la tassa di soggiorno-
-Ecco,
quella. Quanto te devo?-
Stampo
la ricevuta ed incasso la tassa. Mentre mi passa i soldi mi fa:
-Comunque
vaa' meritate. C'avete una città bellissima-
Prima
che possa replicare ringraziando per il complimento, lui continua la
chiacchiera.
-Li
Uffizi, er Davidde.. magari c'avessimo avuto noi l'artisti che
c'avete avuto voi. A noi c'è rimasto quel coso de li gladiatori, lì,
che ora nun se po' manco fa 'n machina-
Trattenere
le risate può essere un esercizio veramente difficile e complesso.
-E
vi si dette pure un monte d'artisti. La Cappella Sistina l'ha dipinta
Michelangelo-
-Ecco,
o'vedi? O'vedi? Se nun ce li davate s'era sempre co le rovine de
l'antichi-
-Mghff
(risata soffocata).... poi chi c'era....-
-Dai,
dimmene dell'artri!-
-Vi
s'è dato i'Vasari... i'Botticelli, Del Sarto... sono passati tutti
da Roma-
E
lui fa roteare la mano, mentre guarda la consorte e se la ride.
-Vi
si dette pure Batistuta-
L'avessi
mai detto. Manca poco si leva la coppola e me la lancia modello
stella ninja.
-Ao',
a'bello! Per me quello ve lo potevate pure tenè! Io so daa' Lazio!-
Acchiappa
la ricevuta e sale per le scale.
E
mi sento pure in colpa per aver fatto arrabbiare un cliente....
ps.
poi è sceso e ci rideva sopra. Ma s'è raccomandato di non nominare
più Bati e li “giallozozzi” (parole sue)
2.Estate.
Bimbe in montagna dai nonni, io & moglie abbiamo due turni
mattutini. Dopo le 15 usciamo dai rispettivi alberghi per un giro in
centro: dobbiamo cercare alcuni vestiti carini per noi & le
piccole per il matrimonio del cugino di mia moglie, a Settembre.
Passare
un pomeriggio a giro con la moglie è un privilegio assoluto.
Passarlo a giro per i negozi, un patimento totale. E vabbè, tocca
anche questa. Ma girare mano nella mano per via Calimala ha sempre un
fascino profondo, di vera fiorentinità.
-Si,
so' a Firenze, so' qui du'giorni-
Accanto
a noi, due risvoltini che arrivano alle ginocchia, seguite da due
metri di ulteriori parti del corpo, esternarano al mondo che lo
circonda la sua presenza nella città del Giglio.
Non
posso non seguirlo e sentire. Devo. Assolutamente.
-Marce,
ma dov...-
-Shhh,
zitta, ed ascolta!-
-Si,
Firenze è bella, meravigliosa, ma stasera nun esco”
L'interlocutore,
dall'altra parte del telefono e presumibilmente da qualche parte
della capitale, chiede perchè
-Come
perchè? Stasera gioca a'Lazio-
Rimango
un po'
perplesso a questa affermazione. In Agosto? Ma che razza di partit...
-Er
preliminare d'Europa Leage, nun te lo ricordi? O' so che Firenze de
notte è ancora più bella che de giorno, ma a'Lazio è a'Lazio, nun
me la posso perdè-
A'
Lazio viene prima di Firenze. Che meraviglia, sarei stato a sentirlo
per ore, convinto che mi avrebbe regalato altre perle, ma la moglie
m'ha trascinato dentro un negozio dove avrebbe guardato 256 capi di
vestiario senza comprare niente.
3.Sono
nel retro, ufficio prenotazioni. Arriva una telefonata.
-Ricevimento
buongiorno sono Marcello, come posso aiutarla?-
-Ciao
Marcè, io e la mia ragazza stiamo cercando una camera matrimoniale
per sabato-
-Ma
certamente, il costo è xx €-
-Ottimo
marcè, a prendemo. Te mando li dati della carta de credito-
Parole
che suonano come musica nelle mie orecchie. I clienti fanno un sacco
di storie sul fornire una garanzia all'albergo; questo, invece si
propone lui stesso di inviarmela. Come diceva il colonnello, adoro i
piani ben riusciti.
-E
senti 'n po',
Marcè, voi siete vicini alla stazione centrale, vero?-
-Si,
5 minuti a piedi da lì, venite in treno?-
-No,
che treno! Venimo en machina, ma conosco Firenze. Annamo a parcheggà
a l'altra stazione, come se chiama...-
-Rifredi?-
-No,
quella cor nome lungo-
-Campo
di Marte-
-Bravo!
Quella! Poi prendemo er treno e arivamo lì. Che il parcheggio ce
svena, en centro da voi-
-Ah,
si, è una scelta. I garage qui sono cari, ma sono a due passi. Così
vi tocca farvi un po'
di strada in più, trasbordare le valigie...
-Si,
ma so' du' coseeeee …
tanto se trova sempre posto a Campo de Marte, giusto?-
-Io
credo di si; Campo di Marte è a du' passi dallo stadio, se si
giohava in casa il posto auto non lo trovava, ma domenica andiamo in
trasferta dai' Sassuolo-
-Noi
invece andiamo a giocà a Empoli-
-Ah,
perciò lei è tifoso de....-
-A
Lazio!-
-Quindi
lei è un biancazzurro-
-Devi
sapè, caro Marce, che io tifo per du squadre-
-Due
squadre? La Lazio e....-
-Quella
che gioca contro li giallozozzi (e che è, una mania!)-
-E
quindi due volte l'anno è Viola pure lei-
-Si,
ma m'avete dato una delusione quest'anno. Nun dovevate dà via er
tedesco, li aveva castigati ben bene la scorsa stagione!-
E
così mi son pure preso il rimprovero perchè non ci s'ha più Mario
Gomez. Ma probabilmente sarà stato felice perchè quel fine
settimana, la Roma perse in casa.
Solo
che perse anche “A' Lazio”
ps.
comunque meglio trovare biancazzurri che quelli di
colei-che-non-deve-essere-nominata
venerdì 11 dicembre 2015
Quelli che.... Napoli
Quelli che... io sono già cliente. E nello storico del gestionale, non ce lo trovi. O se ce lo trovi, è stato cliente una sola volta. 5 anni fa.
Quelli che... chiamano (od entrano, tanto è uguale), si fanno dire il prezzo e “ma io conosco G” oppure ”io conosco N” (i miei Reichsfuhrer), mi tratta sempre bene. Ok, mi fa piacere che hai conosciuto G (od N. Od entrambi), ma so una sega! Ci sono io al banco, sai cosa me ne importa delle tue conoscenze con il resto del personale? E' con me che devi rapportarti. Ed io NON ti conosco. Quindi, a meno che non mi chiami personalmente G od N, per me sei un cliente come un altro. Basta con quest'aria di famiglia.
Quelli che.... rientrano la notte barcollando come un barcone libico in balia delle onde, e ti fanno "Uè, come stai? Sono M" Ed alla mia faccia persa modello Johnny Depp, ci aggiunge anche un "Non ti ricordi di me?" Col lavoro che faccio, ho difficoltà pure a riconoscere mia moglie e le mie figlie al risveglio, figuriamoci se mi ricordo di uno che avrò intravisto per pochi istanti diversi anni fa. L'unica cosa che mi viene da fare è "Si, tutto bene, te? Scusa ma vado nel retro a buttare la spazzatura, lo fanno fare a noi notturni, ciao" (non è vero ndr) e lui fa il simpatico con "Non riuscirei mai a fare un lavoro come il tuo" No. Ovvio. Fosse per me, riusciresti benissimo a fare un lavoro ben diverso: lo scavatore di tunnel nelle miniere di uranio del Congo.
Quello che... trentenne che scende all'una, mi chiede un taxi e rientra dopo venti minuti con una tipa vestita come la vidi solo allo strip club per l'addio al celibato di un amico: tacco 27, balconcino apparecchiabile e minigonna uterina. E capello biondo a trecce rasta con evidentissima ricrescita. Senza dire una parola mi molla un passaporto dell'est dove aveva una dolcissima faccetta acqua e sapone con capelli nerissimi a caschetto. Salgono in camera e ne ridiscendono dopo un quarto d'ora (siamo al futurismo, il cui motto era: velocità!) e mi richiedono un taxi. E dopo che sono andati via, mi accorgo che lei aveva gettato una gomma da masticare nella hall. Avrei dovuto aspettare che lui rientrasse, per fargliela togliere, ma era il cugino di Genny a' carogna, a dir poco il triplo del sottoscritto. Tovagliolo di carta in mano e pensieri stragisti nella mente.
Quelli che... ma la colazione è solo dolce? No, abbiamo anche il salato: panini, salame, formag... si, va bene, ma spaghetti li cucinate? Giuro, me l'hanno chiesto. Alle 7 del mattino. Non per lui, ma per la “creatura”, che mangia solo quelli. Anche a colazione.
Quelli che... abbiamo un bambino di 3 anni, dorme con noi. Poi all'arrivo ti accorgi che a quel 3 ci devi sommare un 7. Che quel 3+7 scende la mattina con un tablet e cuffie urlando “We are the champions” a squarciagola. E fa gli aeroplanini di carta che lancia nella hall quando la banconista sta parlando con un altro cliente. Ed uno degli aeroplanini usa il bancone come se fosse la pista di Peretola. Nel frattempo i genitori continuano a smanettare sui loro telefoni, facendosi bellamente gli affaracci loro.
Quelli che.... chiamano per chiedere il costo di una camera. E tu glielo dai, perchè è il tuo lavoro. E vuoi fare bene, il tuo lavoro. E nel tuo lavoro si prevede anche la conferma. E quello dice solo “Vabbuò, grazie”. E riattacca. E non ci pensi più, perchè se non ti conferma, per te, significa che non è interessato. Ed invece questa fa*a si presenta. E dice che ha una prenotazione. E fa ammattire tutti per cercare di capire chi è, fino a che non ci dice con chi ha parlato, e colui/colei con cui ha parlato, contattato telefonicamente perchè non era in turno, alla fine ricorda e dice “ma costui non ha mai prenotato”, ed alla fine viene fuori che “e vabbuò, prenotare, non prenotare.... una camera ce l'avrete, no?”. No. Albergo pieno. Ciao.
Ma anche:
Quelli che... tifano entrambi per la Viola, lui e lei, e salgono su un paio di volte l'anno, quando si gioca il sabato sera o la domenica a mezzogiorno. Comprano on line tutto l'occorrente: stadio, treno, albergo. Rientrano in albergo a prendere i bagagli la domenica pomeriggio, bevono un caffè e vanno alla stazione. Ovviamente, se mi beccano di domenica pomeriggio, il caffè glielo offre il sottoscritto. Non posso non farlo. Tifare Fiorentina e vivere a Napoli è un pò come essere shintoisti e vivere a Raqqa.
Quelli che... ha i capelli rasta e studia filosofia, e ci passi un paio d'ore in piena notte, con lui e la sua ragazza, a parlare di Firenze, Napoli, filosofia, il Rinascimento, i 99 Posse e Bennato. Ed un'altra mezza dozzina di argomenti che scivolavano via che era una meraviglia.
Quelli che... ma è vero che il David si ruppe? Si, un braccio ma nel 500, quando era ancora in piazza della Signoria. Ah.... e...lei che sa tutto (ti amo wiki)... ma era la stessa posizione od era diversa? E lì per lì non ci arrivo, e ci penso pure, ma la moglie lo tira via e gli fa “Antò, andiamo” “Ma... volevo capire” Lei si blocca, scuote la testa, mi guarda e mi chiede “Come si chiama l'ospedale di Firenze?” “Careggi” “Antò, lo portarono a Careggi e gl'appicciarono o' gess! Certo che era la stessa posizione, è 'na statua di marmo! Nun è che stava accusì (alza il braccio modello Statua della Libertà), ora iammè 'n camera, che sto muort”. Mentre io mi piegavo dietro al bancone dal ridere.
Quelli. Tutti napoletani.
O bene bene, o male male.
Non si scappa.
venerdì 4 dicembre 2015
Bisogna
sapere, o quanto meno immaginarsi, a cosa si va incontro, quando si
fanno certe scelte.
Quando con i miei amici abbiamo deciso di farci un altro campionato di calcetto, alla nostra ormai veneranda età di ultraquarantenni, dovevamo immaginarci che ci saremmo scontrati con squadre di ragazzetti che dall'età potrebbero essere i nostri figli, con il fiato maggiore del nostro di diversi fattori esponenziali, e conseguente capacità di corsa. E che ogni 4 minuti di gioco potevamo trovarci un giocatore avversario solo davanti al portiere.
Che, nel
caso specifico, è il sottoscritto.
E,
credetemi, non è una bella situazione, per un portiere.
Il
problema sorge quando ti capita chi, queste situazioni, non le
accetta. Non subito almeno.
Coppia
israeliana in auto. Domenica pomeriggio.
Entra
la signora, e mi chiede dov'è il parcheggio. Le chiedo che modello
di auto hanno, e lei, sicura come Nyetanyau quando deve dare l'ordine
d'attacco, spara:
-A
very small one-
Conosco
i miei polli. Esco per togliere i paletti che delimitano il posto
auto davanti all'hotel ed il maschio parcheggia. E vedere che auto ha
veramente.
Una
500 L, la versione grande di quella sottospecie di autovettura che
solo a vederla fa rivalutare la Ford modello T.
Chiaramente,
non è una “small one”
Chiaramente
il prezzo non sarà economico.
Chiaramente
dovrò dirglielo.
Chiaramente
non gli piacerà.
Quando
mi chiedo se potrebbe andar peggio che non farmi un turno di domenica
pomeriggio, con i clienti che arrivano quando c'è un traffico
bestiale perchè la domenica pomeriggio TUTTI vogliono andare in
centro con l'auto, alla faccia delle raccomandazioni del nostro
sindaco sul non prendere l'automobile, comincia pure a piovere. Mi
manca solo di avere una pala in mano ed essere dentro la buca di un
cimitero.
Lui,
barba e capelli brizzolati, tarchiato e massiccio che dev'essere
l'unico mediano di spinta di tutta Israele, entra incacchiato come un
elettore di grillo dopo aver visto Renzi in tv.
E
lì commetto un errore madornale.
Provo
a buttarla sulla serenità e lo scherzo.
Indosso
un bel sorriso conciliante:
-Hello,
and welcome to Florence. How are you?-
Mi
guarda come se gli avessi appena detto che sua nonna era l'amante di
Goebbels:
-I'm
bad! This city is crazy! How can I drive?-
Alzo
le braccia, i palmi delle mani rivolte verso l'alto, sperando
comprenda che un portiere di un albergo non può proprio farci
niente, se il resto del mondo decide di muoversi in macchina.
Specialmente noi italiani, che abbiamo eletto le quattroruote a
simbolo idolatrato ad eternum di sé stessi e del loro stile di vita.
E con l'aggravante di non avere più neanche una casa produttrice
nostra.
-Oh,
it's not so bad after all. It has been much worse, believe me.
Welcome to Italy!-Ora,
con un americano funziona. Con tedeschi ed inglesi pure. Ci ridono
sopra, rilassati perchè comunque sono arrivati all'albergo, e poi
sono in vacanza.
Lui
no.
Si
incacchia ancora di più. Perchè alla faccia della storica ironia
ebraica, gli israeliani stanno all'umorismo come un militante di casa
libbra sta alla tolleranza e la convivenza.
-Are
you kidding me? This is foolish!-
La
mia faccia si ritrova improvvisamente senza sorriso, come quella
volta che scoprii che una delle mie figlie, ad una festa in casa
d'altri, aveva appena fatto la pupù. E non mi ero portato pannolini
di ricambio.
-Train
would have been better-
L'avessi
mai detto.
-Train?
And how we may go to Vinci? And San Gimignano? No train there!-
Non
pago, insiste:
-I
want a cheap parking-
Caro
il mio cliente: si, hai ragione a dire che non c'è treno per quelle,
e molte altre, località di provincia. Però anche tu prima cerchi e
prenoti un albergo in pieno centro di Firenze, e dopo ti lamenti a)
del traffico e b) del costo. Bello viaggiare in prima, posto
finestrino e cocktail in mano, lo vogliono tutti. Ma te li devi
pagare, certi lussi.
Il
problema è che discutere con costui delle sue contraddizioni è come
voler far capire a certi dirigenti calcistici che certi rigori ed
intere partite non sono classificabili sotto la voce “sportività”.
Perciò
decido di assumere un atteggiamento neutro.
Comunico
al tipo la tariffa del garage.
-No,
too expensive-
Allora la può lasciare sui viali, ma da lunedì (domani) devi andare a mettere la monetina nella macchinetta, ed avere il tagliando da esporre sul cruscotto. Si paga solo dalle 8 alle 20.
-It's
too far. I want to sleep in the morning. What if i leave the car
there?-
Il
nostro spazio è solo per scaricare i bagagli, poi devi toglierla. Se
non lo fai, la faccio portare via.
-What
if i leave the car in the street?-
Se
la polizia non passa, tutto bene. Se passa, preparati a pagare una
discreta multa. E la possibilità che debba andare a riprendertela
alla depositeria comunale. Poi magari sei fortunato che i vigili
fiorentini decidano di stare nel letto più del solito domani, tipo
fino a mezzogiorno o i'tocco, evento niente affatto improbabile.
Oserei dire auspicabile. Ma è comunque a tuo rischio e pericolo.
Queste sono le opzioni. Scegli.
Glielo
dico un po' brutalmente, ma io c'ho provato ad essere gentile con
lui. E' inutile che prendi l'auto a noleggio e poi ti arrabbi del
traffico. Cos'è, ti venne il morbillo il giorno del tuo Bar Mizvah e
c'hai il giramento di c. da quel giorno?
Mi
richiede un “cheaper price”. No. Senza se e senza ma. Le tariffe
sono queste. Ecco la lista del garage con i prezzi modello per
modello. Ed in ogni caso devi parlare con gli addetti del garage. E
non si lamentare troppo, pure io, se mi venisse la follia di venire
in auto in centro e parcheggiare lì, pagherei la stessa cifra.
A
quel punto, davanti alla mia durezza, abbassa la cresta. Check-in e
scambio chiavi (a lui quella della camera, a me quella dell'auto).
Quando
riscendono, mi sembrano un po' più tranquilli. Perciò torno a
sorridere e, piantina alla mano, gli spiego dove siamo e dove si
trovano i monumenti. Puntualizzo bene che non hanno bisogno dell'auto
perchè in 5 minuti sono ovunque: Duomo, musei, la sinagoga, che è
un edificio storico della città. Se il garage costa, è proprio
perchè ci troviamo in una zona particolarmente centrale di una
vecchia città risalente al medioevo, ma almeno si gode del vantaggio
di non spendere ore di tragitto per arrivare ai luoghi da visitare.
E
lì si calmano.
E
lì, miracolo dei miracoli, capiscono che, per godere di quei
vantaggi, si deve pagare un prezzo, e non ti regala niente nessuno.
E
lì, ed ancora non riesco a crederci, mi chiede pure scusa per
l'atteggiamento brusco. Un israeliano. Fermate il mondo ed erigete un
monumento davanti a questo bancone.
Resisi
conto che comunque potevano stare in centro camminando e che avevo un
atteggiamento conciliante, accettarono la situazione.
Avevano
prenotato una notte, non rimborsabile con internet. Sono restati due
notti in più a pagamento diretto. Ovviamente pagando il relativo
garage per l'auto.
Caro cliente, a costo di passare per antisemita, te lo devo dì: sei una fava! (nel senso fiorentino e buono del termine).
venerdì 27 novembre 2015
La
gente è strana. Ma strana forte.
Ci
sono clienti che arrivano per 4, a volte 5 notti di soggiorno. Che
siano turisti, congressisti o commerciali, poco importa. Arrivano con
solo una borsa, neanche tanto grande. E li vedi con gli stessi
vestiti addosso per tutta la durata del soggiorno.
Non
voglio farmi domande. Basta che non piantino storie sulla camera, poi
mi va bene tutto. Oddio, colleghe cameriere ai piani avrebbero da
ridire, soprattutto se i suddetti clienti, oltre a non avere molto
ricambio vestiario, sono anche poco avvezzi all'uso dell'h2o, ma in
fondo sono affari di costoro. Quel che hanno gli basta.
Poi
c'è l'estremo opposto.
In
un turno pomeridiano di qualche mese fa, mi appare, quasi dal nulla,
un ometto semplice, con musetto a topo tipo Alvaro Vitali, ed un bel
sorriso cordiale.
-Avez-vous
une chambre pour une nuit?-
Ah,
la Francia. Io amo la Francia, adoro tutto di lei. Vado pazzo per la
loro campagna, per le coste della Normandia ed i carri armati nelle
piazze dei paesini, per la Grandeur, per Nizza, Tolosa, Caen, la
Ville Lumiere. Il vino e le baguette. Una lingua sublime, adorabile,
passionale.
Ok,
lo ammetto: i franzosi, a volte, sono un po' stracciamaroni. Piantano
storie, pretendono.... ma a parte che gli perdono tutto proprio
perchè vengono dall'Hexagone, dopo aver provato molte volte gli
indiani, i francesi ormai sono acqua fresca.
Chiamo
“er libanese” aka Matteo. La Cinzia invece è “er freddo”.
Matteo e Cinzia si sono dati i soprannomi. Si salutano così, quando
cominciano il turno: “Ah freddo” “Ah libanese”. Bisogna
riuscire a scherzare, ogni tanto, se non si vuole sclerare.
Dicevo
chiamo
er libanese affinchè mostri la camera al francese. Non un granchè,
una camera semplice, senza tanti fronzoli. Ma al cliente piace.
Scende e chiede una notte. Ed estrae la carta di credito.
American
express oro.
Minchia.
Mentre
mi appresto ad effettuare la transazione, mi informa che esce per
portare qui davanti l'auto, la moglie ed i bagagli. Dopo pochi minuti
arriva.
Una
Jaguar.
Minchia
col punto esclamativo!
I
due francesi (peraltro anche la signora si dimostra sorridente e
cordiale) cominciano a trasbordare i loro bagagli dalla Jaguar fin
dentro la hall.
E
lì prendo la foto che vedete.
I
bagagli che ritenevano necessari per una notte.
E
non erano tutti, perchè nel momento della foto, erano tornati
all'auto a prenderne altri.
Gli
avevo ben garantito che il garage è sicuro e custodito. Tant'è che
quando rientrano con gli ultimi vestiti, per darmi la chiave della
Jaguar affinchè il garagista venga a parcheggiarla, mi dicono che
non avevano preso tutto, e molta roba era ancora dentro.
Praticamente,
per una notte, avevano la quantità di bagaglio di un'intera armata.
Anche er libanese guardava e mi chiedeva “Ma quanto ci stanno, un
mese?”
La
gente, come dicevo, è strana.
ps.
ad onor del vero devo dire che dopo un'ora sono scesi a chiedermi se
potevano stare per altre due notti perchè “ormai quasi tutti i
bagagli sono in camera”. Avrei preferito mi avesse detto che voleva
restare altre due notti per visitare bene la mia città, ma non
importa. Gli ho detto di si, gli ho confermato la tariffa e mi ha
reso la solita amexco oro per un secondo addebito.
Pps.
Durante i 3 giorni di permanenza, la Jaguar è rimasta in garage. Ma
ogni tanto andavano lì a prendere qualche altra borsa.
Evidentemente, quel che avevano in camera, non era abbastanza...
un bacio a tutti da vostro marce. E ricordate: come dice Aragorn, viaggiate leggeri.
Ma non troppo...
lunedì 23 novembre 2015
venerdì 20 novembre 2015
Chiedo
scusa se non mi metto a fare tanti preamboli, ma questa settimana non
è stata quel che si suol dire “il non plus ultra dell'entusiasmo”.
Non arriva una gran voglia di scrivere, quando si sentono notizie su
una caterva di morti ammazzati.
Episodio
di qualche anno fa.
Coppia
francese, sui 40.
Alti,
distinti, portamento signorile.
Alain
Delon e Catherine Denevue a braccetto. Lavorare ad un bancone di un
ricevimento alberghiero, a volte, rende mille volte meglio di un
qualsiasi 3D.
Intendiamoci:
non somigliavano per niente a loro, ma lo sguardo era uguale
spiccicato: quell'espressione severa e passionale al tempo stesso, e
che rivedi solo in una Marianne che guida i rivoltosi alla Bastiglia,
un Bonaparte alla testa delle sue truppe, un De Gaulle che parla ai
suoi concittadini da radio Londra e, appunto, i due attori in uno
qualsiasi dei loro film. Ben vestiti e curati, che pensi siano lì
per sbaglio, e la loro vera destinazione sia il Savoy in piazza della
Repubblica, piuttosto un semplice 3 stelle nei pressi della Stazione.
E non avevano neanche una gran camera.
Ma
a loro non importava. Si presentarono al bancone con un accuratissimo
e dettagliato programma della loro tanto bramata vacanza toscana: un
giorno intero dedicato a Siena ed il Chianti, un altro per Fiesole o
Pisa, un altro per... oh, beh, non me lo ricordo. Di quel foglio a4
completamente riempito di scritte a penna con un carattere che anche
una formica avrebbe faticato a decifrare, un particolare spiccava su
tutti: un intero giorno dedicato ai principali musei fiorentini: gli
Uffizi e l'Accademia.
Un
giorno che noi italiani avevamo completamente dedicato ad uno degli
sport nazionali, di cui siamo campioni mondiali.
Lo
sciopero.
Come
pronuncio la parola “Greve” (e non si riferisce al paesino del
Chianti, ma al termine francese per sciopero, che si pronuncia senza
la e finale) il francese prima strabuzza gli occhi, poi se ne esce
con una serie di “merde” che non si sentiva echeggiare sul
pianeta dalla vittoria di Bartali sull'Izoard.
Parte
in quarta con una serie di improperi verso di “noi”. Un anno
intero a programmare questa tanto desiderata visita e “noi”
scioperiamo.
E
mentre è lì che si incazza come la classica iena a cui viene
portata via la carcassa da sgranocchiare, lei gli tocca la mano.
E
lui si blocca.
E
lei lo guarda, negli occhi.
Un
phaser settato alla massima potenza non riuscirebbe a fondere
l'acciaio meglio di quello sguardo.
-Ecoute
moi, ascoltami. Siamo in vacanza. Sei qui con me. Ensamble. C'est pas
grave, non è poi così importante-
Per
qualche secondo magico, irreale, impossibile da descrivere, in quella
hall alberghiera non si sentì volare la classica mosca. Il telefono
dell'albergo non squillò. Non entrò, o scese dalle scale, nessun
cliente. Nessuna auto passò davanti all'ingresso. C'erano solo lui e
lei che si fissavano negli occhi, di quegli sguardi che si capiscono
senza parlare, per un'intera vita. Un'eternità di silenzi complici,
di comprensioni che solo le vere coppie hanno, e la Piaf che canta in
sottofondo.
Ed
io lì, con le pupille che voltano prima su di lei, poi lui, poi di
nuovo lei.
Spettatore
unico di un film che mai nessun altro avrà il privilegio di vedere.
Poi
il momento magico ha termine, e si passa alla farsa da commediola con
Depardieu; lui volta lo sguardo nuovamente verso il portiere e,
alzando le spalle, pronuncia un “C'est la vie”. Ma purtroppo
rovina tutto cominciando con un “Mais ce n'est pas possible”
mentre sbuffa come un mantice, con quella boriosità così
antipatica, quel voler a tutti i costi insegnare a noialtri come si
vive e ci si comporta, antipatici cugini d'oltralpe, abbozzatela con
questa prosopopea, ricordatevi di Berlino e di chi ha alzato la
coppa, ed abbassate un po' la cresta di galletti spennati.
Vieni
a me a dire che non è possibile? Io ci vivo qui; queste situazioni
me le trovo tutti i giorni, bello. E non sono musei: sono scuole,
mezzi pubblici, servizi ... Eh, dici bene te “Il faut changer...”
a parole, tutti hanno cambiato tutto. Della dozzina di governi che
abbiamo avuto negli ultimi vent'anni, il nuovo è già arrivato più
e più volte. E non voglio pensare a quello che sta per arrivare.
Allora
intervenne nuovamente lei, che con voce dolce e suadente, dice che
comunque sono in vacanza e vogliono stare bene, e mi chiese un posto
per mangiare. Poi dicono che siamo noi italiani, quelli che si godono
la vita.
Quando
rientrarono erano mano nella mano, con quel sorriso che hanno solo le
coppie serene e felici, e dopo avermi chiesto la chiave, lui mi
guarda e mi fa:
“Florence
est magnifique. Bravò”
Bravò,
come se fosse merito mio, di essere nato e cresciuto qui.
E
mentre se ne salgono in camera, sempre mano nella mano, e sguardo
fisso l'uno nell'altra in ascensore, penso che quando sono così, io
li adoro, i francesi.
venerdì 13 novembre 2015
42
non è solo una risposta.
42
era anche il numero di partenze che avevo domenica mattina. Da solo.
E tutti italiani, perchè gli italiani prenotano all'ultimo momento,
per una notte. Ad inizio settimana avevamo mezzo albergo vuoto. Il
venerdì sera eravamo già pieni zeppi.
Farsi
42 partenze di domenica mattina senza un supporto può essere
un'esperienza devastante, una raffica di check-out a ritmo continuo,
uno dietro l'altro. A quel punto tutti i rapporti con il cliente
saltano. Non si sta a chiedere “Si è trovato bene? Piaciuta
Firenze?”. Si chiede la camera si stampa la ricevuta e si incassa.
Non è più lavoro d'albergo. E' catena di montaggio modello Tempi
Moderni. E con gli italiani capita che “Faccia carta. Anzi no,
scusi, meglio bancomat... ah, ha già fatto carta? Era meglio
bancomat, ma non importa però.... si può tornare indietro?”
Bip,
transazione annullata. Si ricomincia da capo. Bancomat. Il pos chiede
il codice pin. Si passa la macchinetta alla cliente, che se ne esce
fuori così:
“Ah,
il pin, quale era?”
Comincia
la ricerca del codice pin nel suo cellulare, ma il tempo scade ed il
pos annulla la transazione, e mi fa risputare fuori la carta. Si
riparte da capo. Nel frattempo, dietro alla signora dimentichina si è
formata una fila che sembra l'ultimo giorno dell'expo.
Ma
stavolta non sono qui a parlare dei problemi con la clientela
italiana. Sono qui a parlare di due stupendi, meravigliosi,
fantasmagorici clienti che ho avuto domenica. Accomunati dal numero
3.
Oggi
vi parlo di Riccardo e Livia.
Riccardo,
3 anni, arriva venerdì con mamma ed amica della mamma. Due belle
donne distinte che provocano torcicolli in noi maschi sbavanti. La
mattina di domenica, alla partenza, le signore e Riccardo rientrano
dall'ultimo giro a riprendere i bagagli, saranno state le 13.
Peraltro, in camera, avevano lasciato il berretto del bimbo. Quello
della foto. Il ragazzo è istruito bene.
Ma
Riccardo è inquieto, non gli interessano i bagagli ed il berretto.
Vorrebbe uscire, vedere ancora il mondo. La madre lo richiama più
volte mentre riprende borse e valigie. Lui si riavvicina, ma poi
riparte verso la libertà e l'avventura, che possono essere
intriganti in un luogo libero e selvaggio, ma devastanti nel caos di
Firenze centro.
“Riccardo,
vieni qui”
Riccardo
non ha paura degli sconosciuti, non si fa intimorire da quel portiere
d'albergo che lo chiama. Entusiasta, corre dietro il bancone.
“Prima
cosa, via il ciuccio. Non si ciuccia in albergo” E lui,
garibaldinamente, obbedisce.
“Bravo,
così mi piace, pronto ad eseguire gli ordini. Questa è la chiave
che ci ha appena lasciato un cliente. Va rimessa al sui posto, cioè
qui. Dai, rimettila”
Riccardo
esegue il compitino con gioia e letizia, mentre la madre approfitta
per rilassarsi sul divano, uozzappare e/o candycraschare.
“E
ora?”
Prendo
una chiave
“Che
numero è questo?”
“1!”
“Bravo!
Poi?”
“Zero!”
“E
questo?”
“Cinque!”
“Ah-ah,
attento”
“Sei!”
“Grande,
dammi i'cinque!”
E
Riccardo sbatte la sua mano sulla mia. Con tutte le sue forze.
Notevoli, per la sua età.
“E
ora?”
Passo
ad altra chiave, ed altro numero. E via un altro cinque. E così via
per una mezza dozzina di chiavi e numeri. Nel frattempo madre ed
amica prendono i bagagli e mi fanno:
“Andiamo
a mettere i bagagli in auto, Riccardo, te aspetta qui ma fai il
bravo, mi raccomando”
Riccardo
è tutto preso dal nuovo gioco di conta dei numeri. E' il portiere
che comincia un po' a stufarsi, anche perchè deve piegarsi verso i
suoi 30 centimetri scarsi d'altezza, e la schiena disapprova. Ciccio
abbozzala. Hai smesso col calcetto, non sei più il portiere che si
chinava a raccogliere la palla in fondo al sacco.
“Ok,
facciamo così” lo prendo sotto le spalle e lo sollevo a sedere sul
bancone. Non posso fare a meno di notare come mamma ed amica della
mamma siano sparite. Mi hanno lasciato solo con il bimbo.
“Ed
ora come fai?” Gli dico ridacchiando. E' su un bancone dall'altezza
di più di mezzo metro. Per noi adulti è come stare seduti a due
metri, forse più.
Riccardo
non ha paura. Riccardo è temerario. Osa.
Si
lancia giù come un elemento della 101esima aviotrasportata sopra la
Normandia, manca solo urli Geronimo. Effettivamente, anche
lanciandomi le braccia. Non posso non tentare di afferrarlo, un po'
impaurito dalla possibilità che si faccia male.
“Ancora,
ancora!”
“Come
si dice?”
“Per
favore!”
Dai,
un'altra volta. Ed un'altra. Ed ancora.
Mamma,
amica, tornate presto, vi prego. Se tornate, ovviamente.
Tornano.
Prendono gli ultimi bagagli, salutano, ringraziano per
l'intrattenimento.
“Andiamo
Riccardo, saluta il signore”
Riccardo
alza la mano aperta.
Porgo
la mia con il palmo rivolto verso l'alto. Mi arriva un altro “cinque”
dato con tutte le forze possibili. Per fortuna solo le forze di 3
anni. Poi mi urla “Ciao!”, si infila il ciuccio in bocca e corre
via.
Livia.
3
mesi.
Genitori
giovani, poco più di vent'anni, molto carini e simpatici, con
spiccato accento romanesco.
Anche
loro hanno bagagli da mettere in auto, ed escono.
Lasciando
la piccola Livia nell'ovetto, sul divano della hall.
Io
non l'avrei mai fatto, per le mie. La mamma sarebbe stata a guardia
della piccola, l'altro (io) portava i bagagli in auto. Il lavoro
faticoso sempre all'uomo. Questi due no. Escono entrambi. Si fidano
del portiere.
Non
c'è nessuno in albergo, in quel momento. Giro attorno al bancone e
mi avvicino.
Livia
è sveglia, e mi osserva protetta anche lei, come Riccardo, dal
potentissimo scudo magico capace di alzare di millanta punti la
classe d'armatura, e che passa anche con il nome di “ciuccio”.
“Ciao
piccolina! Ma lo sai che sei bellissima?”
E
lei sorride.
Da
dietro il ciuccio, che è trasparente, sorride.
Ed
io mi sciolgo come Olaf sotto al cocente sole estivo.
In
una hall alberghiera, la domenica mattina a Firenze, dopo 42 partenze
ed il fisico che comincia a dire “Ci si riposa? Ci si mette un
pochino a sedere? Che s'abbozza di sta' in piedi?” mi commuovo a
vedere questa bellissima creaturina sorridente. Dovrei saperlo, come
funziona.
Non
è così. Ogni volta è come la prima volta.
I
due genitori non tornano.
Passano
10 minuti buoni, e, giuro, non tornano.
“Senti,
io, se babbo e mamma non vengono a riprenderti, ti porto a casa.
Avrai due sorelle maggiori dolcissime, che ti faranno giocare a tanti
bei giochi divertenti. Ti vestiranno da principessina. Ci vieni a
casa mia? Ti ci porto, eh”
E
lei sorride. E m'immagino già mia moglie che “Ora la riporti dove
l'hai trovata!” “ma mi ha seguito fin qui...” “Te lo scordi s
pensi che io ricominci con le pappette!” Ma io tengo duro, Livia
resta con noi.
Invece,
anche se dopo ben 10 minuti 10, i genitori tornano a riprendersela.
Mi ero ormai convinto di potermela tenere, che costoro se ne fossero
tornati a Roma dimenticandosela completamente. La gente, in albergo,
dimentica veramente di tutto. Anche se questa sarebbe stata davvero
una dimenticanza storica. Per fortuna, Livia era nei loro pensieri.
Avevano solo difficoltà nel chiudere il passeggino e profonda stime
a fiducia nel portiere. Fiducia, posso assicurare, ben riposta. Livia
è stata bravissima.
Ma
per quei 10 minuti è stata tutta mia. Per quei 10 minuti, insieme a
Sara, Camilla e Gaia, c'era anche Livia.
Spero
lei ed i genitori tornino a trovarmi. Mi manca già.
lunedì 9 novembre 2015
Se
uno ci pensa, sembra l'inizio di una barzelletta:
“Ci
sono un polacco, un tedesco ed un argentino”
“E
che fanno?”
“Niente,
tanto decidono sempre e solo gli italiani”
Che
infatti hanno i cardinali con le mani in pasta e l'attico rifinito
col parquet. Quello buono, non il laminato in offerta a pochi euro al
metro quadro da Leroy Marlin.
Quindi,
che ci sia un papa che se ne venga fuori con “E' immorale che vi
siano preti che vivono come faraoni”, cioè un'affermazione che
sembra appena uscita dalle labbra di Peppone, di un segretario del
PCI degli anni '50, fa abbastanza ridere. Diamine, se uno vuol
veramente cambiare qualcosa, ed è al vertice del potere, deve
cominciare a far rotolare un po' di teste di quelli che sono sotto di
lui. A “buttà fori” quelli che non sono capaci. Che si
crogiolano col potere ed i quattrini di cui possono usufruire. A
parlare son boni tutti. A parole siamo la prima economia mondiale (e
qui ci sarebbe molto da dire sui presidenti del consiglio che s'è
avuto negli ultimi vent'anni).
Sono
tutti “chiacchiere e distintivo”.
E
domani, arriva a Firenze. Od oggi, non me lo ricordo. Oggi sono
libero. La mia domenica è il lunedì. La mia settimana è disastrata
come viale Guidoni sottoposta ai lavori della tranvia con annessa
caduta di una gru sul cantiere. Ma tant'è, questo è il mio lavoro,
me lo sono scelto io. Me la canto e me la suono da solo, come per
questa città. Arriva il papa ed andiamo tutti nel panico, noi che ci
viviamo e giunta comunale che deve gestire l'evento. Sventriamo la
città per i nostri trenini e ci accolliamo anche la visita
dell'argentino. Saremo poho bischeri? Sarà per quello che danno per
pretendenti allo scudetto tutte le 19 altre squadre di serie A tranne
noi.
L'unica
è riderci sopra.
1-Una
collega di un albergo vicino.
Viene
a trovarci in pausa pranzo per un caffè. Lavorare in albergo
significa mangiare un boccone o bere un caffè in assoluta
solitudine, perchè è molto raro che si sia in 3 o più. Spesso non
ci riesce neanche quello. Uno dei due si prende una pausa ma poi
arrivano clienti e telefonate. Perciò si interrompe di mangiare e si
accorre in aiuto. E ci si dà da fare. E quando passa la buriana, il
caffè è freddo come dopo che lo ha toccato la regina Elsa. Ma ogni
tanto i 5 minuti di ciana si riesce a ritagliarseli.
La
ciana, ovviamente, verte sul papa argentino, ed il suo imminente
arrivo, con annessa conferenza episcopale, o qualcosa del genere. Che
suona un po' come “assemblea generale del partito”.
E
questa nostra collega non è una che non le mandi a dire. Una
fiorentina vecchio stile.
-Allora
senti: m'han chiamato dalla [agenzia] pe' raccomandassi: “Allora,
ai'monsignore dategli una bella 'amera, una “king size bed”,
trattaelo bene....” ma vai in ****, vai! Te la darei ni'capo, i
“kinghe saize bedde” Ma perchè 'un vai nella 'amerata co' poeri?
-Tanti
discorsi sulla povertà, e poi prenotano l'albergoni, la suitte, i'
ristorante...-
-Sai
icchè? E gli'hanno paura 'he alla mensa de' poeri gli freghino
l'anelli! Ma poi la 'amera coi'matrimoniale, a icche ni serve? Si
porta la perpetua?-
-Appunto,
c'avrà la suorina di 'ompagnia-
-La
suorina... o i'chierichetto. E quello prediha la povertà! O
bischero, o 'un lo vedi che tanto fanno 'ome gli pare? Ma vaiva! In
dumila anni c'hanno rovinato-
5
minuti, ma ero piegato in due dai'ridè.
2-Chiamano
dall'agenzia, perchè in ogni albergo dove sono alloggiati i
partecipanti alla conferenza si preparerà un punto ospitalità
(hospitality desk, in gergo). Gestito da volontari. Ci chiedono se
gli possiamo preparare qualcosa da mangiare perchè questi volontari
no avranno il tempo di comprare qualcosa da mettere sotto i denti.
-Ok,
ma al massimo due panini avanzati delle colazioni, perchè non
abbiamo ristorante, c'è solo la caffetteria-
-E
voi del personale come fate?- chiedono piuttosto stupefatti e pure un
po' piccati.
-Il
personale si organizza a casa, ovviamente!-
Non
si capisce perchè non debbano farlo dei volontari, se ci riescono
gli “strutturati”.
3-Nell'albergo
dove lavora mia moglie, arriva un tipo con del materiale per un
partecipante alla conferenza. Mia moglie chiede come si chiama
costui. L'incredibile risposta del corriere è:
-Non
lo so-
-E
noi come facciamo a consegnare il materiale a questa persona, se non
sappiamo chi è?
-Boh.
Ve lo chiederà lui-
-Ok,per
noi va bene, ma se non lo chiede, questa roba rimane qui, poi la
buttiamo-
Ma
al tipo che fa da corriere non interessa, a lui basta fare la
consegna.
Mia
moglie butta un occhio sul contenuto di questa borsa. Libri di
teologia. La sera mi riferisce la cosa, dicendo che c'erano cose su
“sacro e profano”.
Io
rimango decisamente sorpreso.
-Mi
stai dicendo che c'era il fumetto?-
-Ma
no, sciocco! Era un libro serio-
Effettivamente
avrei dovuto capirlo. Dare “Sacro e profano” ad un teologo, o gli
fa prendere un colpo apoplettico, o lo fa andare in bestia e bruciare
il fumetto lì nella hall.
Come
diceva Michele Serra: “Io non sono contro il papa. Sono senza”
M'è
sempre piaciuto, questo aforisma. Il problema è che non sono più
senza. Da domani, per due giorni, il papa ce l'avrò in casa.
Ma
siamo ancora capolisti.
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