venerdì 27 febbraio 2015

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana, sul terzo pianeta di classe M di una piccola stella chiamata Sole, il sottoscritto, in compagnia di quella che sarebbe diventata la futura moglie ed alcuni amici, decise di andare a cena fuori
 
Piatto principale: tagliatelle al fungo porcino.
 
Esiste qualcosa di più buono e delizioso del fungo porcino, su questa galassia?
 
Non vi affannate a pensarci. La risposta è no. Senza se e senza ma.
 
Il porcino, cucinato con un filo d'olio e qualche spicchio d'aglio, è, semplicemente, il nettare degli dei. Il suo aroma, il suo gusto, il suo sapore, non va assolutamente confuso con altri alimenti che non siano, appunto, tagliatelle fatte in casa ed un po' di prezzemolo tritato.
 
Questo è il motivo per cui, come ebbi l'ardire di domandare del parmigiano al cameriere, venni prontamente fulminato con lo sguardo. Letteralmente incenerito. La mia richiesta non venne, giustamente oserei dire, accontentata. Superfluo aggiungere: aveva ragione lui.
 
Da allora decisi di sgrezzarmi, dal punto di vista del cibo. Diciamo che, pur non essendo un purista, sono sulla buona strada. Ma non intendo diventarlo. Soprattutto dopo aver visto Cracco e Bastianich che fanno pubblicità rispettivamente alle patatine confezionate e la sfoglia pronta. 

Posso permettermi qualche sfondone in più.
 
Ma senza esagerare.
 
Tanto, c'è di peggio.



Alto, massiccio, biondo, barba corta ben curata, golfino con scollo a V, una cinquantina d'anni ottimamente portati. Un Reinold Messner un po' più giovane che mi aspetterei che mi canti il jingle dell'acqua. Invece no. Ha un altro liquido, ben più nobile.
 
Esce dall'ascensore a mezzanotte con un bel bicchierone di rosso in mano.
 
Da fedele seguace del movimento 5 litri, non posso che approvare, perciò, da parte mia, un bel sorriso ed un buonasera.
 
Lui risponde semplicemente con un sorriso a bocca chiusa ed un cenno del capo, ma va bene così. Girella per la hall sorseggiando il vinello, felice e lieto di essere un nordico in vacanza a Firenze, di bere vino e di trovare al bancone un portiere che lo saluta come si deve. La felicità si trova in piccole cose.
 
Esce a fumare, poi rientra con il bicchiere mezzo vuoto (i bicchieri sono sempre mezzi vuoti, quando si tratta di rosso), gira ancora per la hall e torna al bancone.
 
E lì fa quel che non ho fatto io anni fa alla cena: mettere il formaggio sul fungo porcino.
 
Prende una caramella dal cestino sul bancone.
 
Le caramelle di cortesia, che tutti i clienti possono gustare.
 
Zucchero allo stato puro.
 
Con il vino!
 
Apre l'incarto con forza, di scatto. E di scatto, come Yuri Chechi quando molla gli anelli, la caramella salta fuori e cade in terra.
 
Mi offro di dargliene un'altra ancora incartata, ma lui mi dice che va bene così, “it's ok!”, la raccatta dal pavimento e la mette in bocca!
 
Poi, sempre con il suo sorriso a bocca chiusa, riprende il bicchiere che aveva lasciato sul bancone, mi fa un altro cenno di saluto e continua a girellare per la hall, degustando il suo vino alla caramella strascicata.
 
Sempre meglio i clienti come lui degli indiani stracciamaroni, ma un discreto senso del disgusto me lo ha lasciato. Per la combinazione di sapori e per aver messo in bocca una roba caduta in terra.
 
Non ce la posso fare.

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