venerdì 29 aprile 2016


Paranoia

E’ inutile girarci intorno. La paranoia è un problema. Evidente, chiaro, palese.

Ora, quando si soffre di un problema, ammetterlo è il primo passo. Alzarsi in piedi e dire "Buongiorno, io sono John" "Buongiorno John" "Ho un problema".

Il guaio è che il paranoico non ammetterà mai di avere un problema. Un alcolista lo può fare. Un drogato. Un cleptomane. Il paranoico no. Lui ha un nemico.

Il problema se lo becca il portiere.

Turno di notte. Tanto per cambiare.

It’s my life, cantava Bon Jovi.

Il turno di notte, in albergo, funziona così: si lavora, duramente, per 4-5 ore.

Poi, indipendentemente da quanta caffeina uno ingurgita, o si spara direttamente in endovena, si crolla.

Non ci sono cazzi. Crolli. Ti si mette a sedere nel retro, sulla poltroncina del capo ricevimento (quella più comoda), stendi le gambe e vai in catalessi. Appoggi il mento sul palmo della mano e tenti un disperato, quanto inutile, riposo. Sempre comunque vigile, perché un cliente può scendere al bancone; o rientrare da una notte brava. E perchè dormire seduti è, sigh, come il comunismo: pura utopia (il sigh vale sia per il dormire che per il comunismo).

Mi trovavo dunque in questa posizione, 4 o 5 del mattino, quando qualcuno tenta, disperatamente di aprire la porta d’ingresso.

Mi alzo, dapprima lemme e tentando un disperato quanto futile tentativo di sgranchire le gambe, che interrompo perché il qualcuno sta tentando sempre più furiosamente di aprire.

Mi muovo, di corsa, perché per quanto costui tenti, la porta non si aprirà in quanto chiusa a chiave. Tira, sbatte, comincia addirittura a scalciare. E parte anche ad urlare.

Ma che caz….

Come mi vede accorrere, il matto mostra la tesserina della camera, urlando un "open, open!" E’ un cliente, su questo sono sicuro. Apriamo e sentiamo che gli piglia.

Quasi mi travolge, nel lanciarsi all’interno.

"Chiudi, chiudi subito!" mi spara modello sergente Hartmann. Ok, ok, non ci scaldiamo, chiudo. Ma non faccio a tempo a chiedergli che gli succede che mi spara il suo ordine perentorio:

-Chiama la polizia!-

-Eh? Cosa?-

-Chiama subito la polizia!-

-No, ora si calma e mi dice che le succede-

E qui mi dice queste incredibili, stupefacenti parole:

-La mafia russa mi sta seguendo-

….

Mi giro intorno, guardo verso l’esterno, dalla porta a vetri.

Nessuno che gira per la via. Neanche Ulisse.

-No, senta, qui non c’è nessuno, siamo chiusi a chiave qui dentr…-

-Ti dico che mi stanno seguendo, chiama subito-

Ok, questo ha dato fastidio a qualcuno. Magari ha dato uno sguardo di troppo ad una tipa e gli amichetti di costei lo hanno spaventato un po' seguendolo. Con la fauna che gira nottetempo in città, è possibilissimo. La sola spiegazione plausibile. O forse è proprio lui che è matto.

-Ha detto qualcosa che non doveva a qualcuno?-

-Non lo so, so solo che mi stavano seguendo-

-Beh, ora è al sicuro, siamo chiusi dentro-

-Ma possono arrivare qui, chiami la po….-

-Lei sparisca su per le scale ed andrà tutto bene -

-Ma mi aspetteranno fuori- (mi sembra d’essere tornato a scuola quando ci si minacciava compagni di classe "T’aspetto fori e ti stronco di botte!")

E’ chiaro che la polizia, con un tipo del genere, non la chiamo. Oltretutto ‘sto matto se ne stava in mezzo alla hall, ben visibile dalla vetrata, invece che infilarsi dietro qualche angolo non visibile dall’esterno. E lì, provo a dirglielo. Ed a lui, il ragionamento non torna. Perché è paranoico. Per lui la soluzione sono gli uomini in divisa, perché mi interrompe e mi spara questo urlaccio:

-CALL THE FUCKIN’ POLICE!!!-

….

Credo di aver fatto in salto indietro di mezzo metro. Scosso dal sonno imperante, e dall’urlo belluino, a bocca aperta come una spigola sul banco del pesce, resto lì per un paio di secondi, mentre lui continua ad ansimare come un mantice per la tensione e la corsa in mezzo al centro di Firenze. Ne ho abbastanza. Alzo il braccio ed indico le scale.

-Fila su e chiuditi in camera! Muoviti!-

Ci pensa qualche secondo, poi schizza su che batterebbe anche Usain Bolt.

Mi giro. La strada è sempre la stessa. Vuota. E per la via dove lavoro, è pure un evento, anche a quell’ora.

Pensate sia finita qui? Magari.

Mi rimetto nel retro per vedere se c’era altro lavoro da fare (non c’era. Da bravo soldatino avevo fatto tutto presto), poi, quando la luce comincia a fare capolino in città e la ragazza delle colazioni è già arrivata, squilla il telefono.

Mi si qualifica come la madre del matto, che l’ha chiamata informandola che la mafia russa (!!! E perché non al quaeda? O gli illuminati?) lo sta cercando, e la persona al ricevimento non ha voluto chiamare la polizia.

-Signora, sono io quello che non ha chiamato la polizia. Suo figlio ha un problema personale. Nessuno lo ha cercato. Secondo me ha dato fastidio a qualche immigrato, e costui lo ha spaventato seguendolo per un po'. E’ chiuso in camera al sicuro, a nessuno verrà in mente di cercarlo qui-
-Ma potrebbero cercarlo alla stazione, oggi deve partire per …. (non ricordo dove, ma è significativo che, se proprio lo cercavano, sua madre mi venga a dare questa informazione che potrebbe finire ai suoi presunti nemici insomma, ho un mutuo da pagare, ed i mafiosi russi potrebbero pagare bene)-


Ma a quel punto, visto che mi stavo stufando di questa follia, gli fornisco la soluzione.

-Senta, in città ci sono altre due stazioni. Suo figlio oggi parte. Prende un taxi e si fa portare ad un’altra stazione. Prende il primo treno e non ci pensa più-

-E se lo cercano anche lì?-

-Non credo si mettano a cercarlo in tutte le stazioni della città. Sicuro che non lo trova nessuno. Taxi, treno e via-

-E’ sicuro?-

-Al 100%, è il posto migliore per scappare (giuro, gi ho detto così: best place to getaway)-

Non coglie la citazione. Mi chiede di scrivergli il nome della stazione (Campo di Marte) e darla al figlio, poi gli passo la chiamata in camera.

Dopo poco lascio la comunicazione del matto alla collega del giorno, che non ci voleva credere, e me ne vado a casa, al giusto riposo.

Una bella dormita tranquilla e serena.

Tanto, quello ricercato dalla mafia russa non ero mica io.

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