venerdì 17 giugno 2016

"Se si hanno problemi, si beve per dimenticare
Se è una grande occasione, si beve per festeggiare
Se non c'è niente di particolare, si beve per far succedere qualcosa"
C. Bukowski

A cosa serve una vacanza?
A rilassarsi
A vedere il mondo esterno
A provare aspetti culturali diversi
A gustare nuovi cibi
A conoscere nuove persone
Od anche tutte queste cose insieme

Ma per qualcuno è anche perdersi, gettarsi via, dare il peggio di sé. Ma in fondo, è solo il mio punto di vista. In alcuni può essere lo scopo della vita. Per Bukowski, ad esempio, era così. E se poi quel qualcuno trova chi la pensa allo stesso modo, può nascere una grande amicizia.

Ed un portiere allibito.


Si prospetta un turno di notte senza fronzoli. Terreno in buone condizioni, zero spettatori, arbitro becco. Quando si gioca ai'Franchi, è 1 fisso.

C'è un discreto numero di partenze e conti da controllare, centinaia di mail spazzatura da cancellare, un discreto pacco di prenotazioni da inserire con sopra il solito, classico, immancabile biglietto: "Marcellino, per favore, le puoi inserire? Grazie. N." Segue cuoricino. Segue un immaginario ps: "Buonasera, sono la nuova responsabile del suo mutuo. Il fatto che lei abbia surrogato e non debba più rendere un centesimo agli olandesi non la esimie dal non lavorare. Ora deve rendere i soldi a noi. Quindi inserisca le prenotazioni e muto! Schnell, los!"

"Cosa c'entra il tedesco adesso?"

"Sappiamo che le piacciono gli ordini in questa lingua"

"Mi piacerebbe di più se a dirli fosse una fraulein di 90 chili e guepiere"

"Pervertito! Al lavoro! Raus!"

Come fai a dire di no?

Neanche il tempo di salutare la collega, stanca morta dopo il 15-23 e che non vede l'ora di tornare alla propria magione a godersi il meritato riposo, che rientrano in albergo due signore, mezza età e risata sguaiata. Parlata inglese masticata, biascicata e pure digerita. I texani non parlano inglese. Loro parlano inglese masticando un intero tubetto di bigbabol.

Hanno in mano un sacchetto di carta che, si capisce bene anche senza osservare seriamente, contiene una bottiglia. Ma non sto a farci molto caso. Sono più impegnato a capire -anzi, cercare di capire- che diamine mi stanno dicendo le due ziette di Houston.

Come mi piace sempre pensare in questi casi: forse dovrei chiamarli "Houston, abbiamo un problema, anzi, due. Venite a riprenderveli, anzi, riprendervele"

Tentano di dire quello che dovrebbe essere un numero, ma scoppiano in una fragorosissima risata, appoggiandosi l'una all'altra per non cadere. In particolare le diverte il "fall down". "I fall down" dice una all'altra "No, you don't fall down. You got the booze" E così via.

Breve divagazione sul mio rapporto con l'alcool: io e questo prodotto siamo sempre andati ben d'accordo: ci incontriamo raramente e con garbo. Da bravo toscano, accetto due dita due di rosso durante i pasti, e non sempre. Se apro una bottiglia, mi dura almeno una settimana-dieci giorni. Ma se non ho bottiglie in casa, ne faccio anche a meno. I superalcolici non mi piacciono, anche se, lo ammetto, ogni 3-4 anni mi concedo il lusso di un White Russian (maledetti fratelli Cohen). Ogni tanto, diciamo una volta al mese, mi gusto due dita di Porto, di solito con gli amici mentre esercitiamo il nostro piacere ludico con le creazioni di Seyfarth, Rosenberg, Andrè, Canetta/Niccolini od altri grandi autori di giochi da tavolo; ma bevo anche da solo, in particolare disteso sul divano, con il portatile sulle ginocchia, ad esercitare il piacere della scrittura. O, molto più spesso, della semplice lettura.

Ma in quel momento mi chiedevo, quasi disperatamente, come comportarmi con queste due signore 50enni completamente fatte. Sequestrargli la bottiglia? Giuro, ero tentatissimo. Forse avrei dovuto fare proprio così: agire esattamente come avrebbe fatto Wayne Bidwell Weelher ed urlare "basta con il liquido del demonio!", novello adepto del comitato della temperanza, che vietava l'alcool e le gonne che mostrano la caviglia (anche l'isis inorridirebbe). Invece no. Gli dò la chiave della camera (dopo aver controllato chi erano e dove stavano. E con qualche dubbio, perchè ricordavano a malapena il loro stesso nome) e lascio che salgano in camera con il "booze".

Non devo attendere molto per rivederle. Alle 5 del mattino, l'ascensore si apre e ne escono le signore.

Sempre ridendo come matte, ma stavolta tirandosi dietro due trolley.

Ed una bottiglia vuota a metà.

Si presentano per un check-out completato con discreta difficoltà, dato il loro continuo ed ostinato ridere ed il parlare con quel folle accento texano, a cui si aggiungeva il mio rintontimento, sia perchè indotto da 6 ore di lavoro notturno sia perchè presente in maniera naturale da sempre. Ma ci riusciamo. Pagano il dovuto. Chiedono un taxi (il termine cab, in particolare, gli induce, per motivi a me ignoti, una discreta, aggiuntiva dose di ilarità), ed all'arrivo della macchina, mentre apro la porta dell'albergo, mi passano la bottiglia. Ed in un incredibile e stupefacente momento di lucidità, la signora parla con un accento chiaro e definito:

-Questa non ce la facciamo a finirla. E' la quinta bottiglia che beviamo qui a Firenze, quindi la lasciamo a lei-

A quelle parola rimango letteralmente basito. Ma come la quinta?? Lei se ne accorge, e mette subito le mani avanti -Ma le altre quattro erano di vino- -Si- ribatte l'altra -poi abbiamo deciso che non ne potevamo più di vino, e ci siamo presi qualcosa dalle nostre parti- dopo di che le signore, ripreso il loro ridere sguaiato, salgono sul cab (con il tassista che carica i bagagli, gli chiude la portiera e, mentre sale in auto, mi guarda e fa "Sai icchè? E le son allegre di nulla, queste due") e spariscono in direzione aeroporto.

Rimango qui, sulla soglia dell'albergo, con questa bottiglia di whisky in mano, che se passa qualcuno mi prende per un ubriacone; il che andrebbe benissimo se dovessi incontrare un Piccolo Principe, ma nel centro di Firenze, alle 5 del mattino, al massimo, incontro nottambuli non del tutto raccomandabili. Rientro dentro e mi chiudo a chiave. Per curiosità, riprendo la ricevuta: 3 notti si soggiorno. 3 giorni a Firenze e 5 bottiglie.Ok, 4 erano di vino, ma si tratta sempre di una discreta dose di alcool. Al posto del fegato devono avere un cartellone che recita "affittasi spazio libero". Od una foto di Bukowski con dedica.

Non me ne faccio niente di questa roba. Lo porto nel bar, dove lo fotografo; poi l'ho messo sullo scaffale. Alla fine qualcuno se l'è bevuto.

Però rimango convinto che Weelher avesse ragione, ed il Volstead act sia più mai che necessario.


ps. Oh, vabbè, alla fine sono state bene, hanno apprezzato il soggiorno ("lovely Hotel") e contribuito al fatturato dello stesso ed al mutuo del sottoscritto. Chi sono io per giudicare?

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