venerdì 24 febbraio 2017

Ho sempre pensato che fosse qualcosa in più di un semplice dipinto.

Che dovesse andare oltre all'idea di canone perfetto di ideale femminile, così come il David lo è per quello maschile.

Che quello sguardo così innocente e sereno al tempo stesso fosse anche quanto di più sensuale si potesse trovare, e che neppure una Scarlett Johansson in un film di Woody Allen abbia la benchè minima possibilità di reggere il confronto.

E dato che è fiorentina, mi piace immaginarmela mentre passeggia per le vie del centro a rimirarsi i nostri gloriosi monumenti rinascimentali. Mentre sale sulla tranvia e pensa "O quanto ci s'avrà ancora da patire, prima d'avecci quell'altre du' linee?". Mentre esulta, sugli spalti del Bozzi, all'ennesima vittoria della Fiorentina donne (su quella maschile, caliamo un velo pietoso...).
 
 

I clienti, in albergo, dimenticano un sacco di oggetti.

La stragrande maggioranza di questa roba finisce in un sacchetto con sopra scritto data e numero camera, e poi lanciato in uno stanzino stracolmo del più classico materiale di un albergo: reti di letti, materassi, specchi, pezzi di bagno di ogni tipo e dimensione, pannelli di cartongesso... buttiamo tutto lì, che diventa un pò come la tasca di Eta Beta.

Tranne questo

Un quadro. Anzi no, scusate: un dipinto, perchè è senza la cornice. Che a vederlo così, di primo acchito, si pensa ad uno di quelli in vendita, per strada, dai numerosi ambulanti africani in città, e prodotti in serie in una stamperia del Quandong. Ed invece, ad osservarlo con attenzione e toccarlo, si capisce che è veramente una cosa fatta a mano, artigianale.

La Venere di Sandro Filipepi, detto il Botticelli. La cui originale completa è nella Sala a lui dedicata della nostra Galleria degli Uffizi. Una fiorentina unica e meravigliosa.

Forse un critico d'arte serio direbbe che è stupido, banale, infantile, addirittura un'insulsa e patetica riproduzione. Ma a noi piace. Dimolto. Lo appendiamo in ufficio, dietro al bancone del ricevimento, dove gli faccio la presente foto.

Poi il cliente che lo ha lasciato in camera ci scrive.

Era una famiglia di un paese della Ex Yugoslavia. In un buon italiano, ci dice che l'ha dipinto la figlia, una ragazza grande che studia, per l'appunto, arte.

Chiamiamo la compagnia di spedizioni con cui lavoriamo per una valutazione sui costi di invio del dipinto. Trattandosi di una nazione che non fa parte della Ue, benchè sempre in questo continente, i costi doganali sono, semplicemente, una fispola. Il che dovrebbe dare un'idea chiara sul fatto che essere uniti e restare nell'Unione è sicuramente più conveniente che non mettersi a giocare alle brexit.

Per il cliente è chiaramente un costo troppo alto, pure se si tratta di un dipinto della figlia. Ma lui ha un piano alternativo. Ci chiede di tenerglielo, e lo facciamo con piacere, facendo ora parte dell'arredamento. Poi, dopo un 3-4 mesi ci riscrive che un suo amico è di passaggio a Firenze, e passerà a ritirarlo. Ci fornisce nome e cognome, uno di quelli che, a leggerli, sembra uno dei tanti giocatori balcanici della Fiorentina. Noi rispondiamo ok, impacchettiamo e mettiamo in una sporta di plastica sotto al tavolo di Eva Kant, il capo ricevimento. E lasciamo quella parete tristemente vuota.

Fine settimana scorso. "Addavvenì baffone" Maurizio si affaccia nell'ufficio prenotazioni: è arrivato il tipo a ritirare il dipinto. Con una certa tristezza, prendo la sporta e vado al bancone a consegnarlo a questo balcanico sorridente che sembra appena uscito da un film di Kusturica. Poi torno nel retro e scrivo all'ex cliente che abbiamo consegnato il dipinto al suo amico.

Ma quella parete, adesso, appare così tristemente vuota.
 
Ma... lo sai icchè c'è?

Io la prossima settimana faccio fare forca alle mi figliole e le porto agl'Uffizi. A vedè l'originale.

In fondo, l'è solo a du' 'hilometri da qui.

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